lunedì 28 luglio 2014

San Diego 2014 Report (estratto da MEGA agosto 2014 - Alastor edizioni)



Di nuovo luglio e di nuovo San Diego Comicon, la più grande fiera dell’entertainment del mondo occidentale. E di nuovo Eisner Awards e la sua ormai leggendaria premiazione.
Tutti gli anni, per aspettare la cerimonia, questa rubrica viene consegnata con un ritardo che definire “mostruoso” sarebbe un eufemismo, costringendo il buon Max Ciotola a fare i salti mortali per mandarlo in stampa, il tutto mentre richiama a sé, calendario alla mano, schiere di santi e beati associandoli al nome del sottoscritto. Se poi sapesse che, visto come è andata la premiazione, ero tentato di riciclare l’articolo dello scorso anno, credo che mi salterebbe alla giugulare direttamente.
Ma andiamo a incominciare.
Iniziamo con un evento increscioso, durante la Zombie Walk, ovvero la marcia per le strade di San Diego di tutti i cosplayer zombie insieme, ricreando una orda di non-morti, un’automobile contenete una famiglia con dei bambini sordi ha perso il controllo del
veicolo investendo alcuni partecipanti. 
Poco dopo alcuni zombie hanno assalito l’auto fino all’arrivo della polizia.  Un pensiero và a quei due bambini che spenderanno migliaia di dollari di terapia per riprendersi da un attacco di non-morti. Per la serie: Danni causati dal cosplayerismo. Ma torniamo ai fumetti. 
Tutte le case editrici ovviamente hanno annunciato decine di novità: Dynamite annuncia in pompa magna il primo sequel/crossover tratto da un film di Quentin Tarantino che ha voluto annunciare di persona l’incontro tra il suo Django e Zorro.
DC festeggia il 75° anniversario di Batman con decine di uscite e, mentre per il resto mi sembra troppo tesa ad inseguire il successo cinematografico della Marvel per essere un editore interessante.
La Marvel dalla sua ha annunciato le nuove serie dedicate a Star Wars con team creativi eccezionali (Aaron, Cassaday, Waid, Dodson, Larroca e Gillen) e ha ribadito che il trend supereroistico del loro universo per il prossimo futuro sarà l’inutile morte del canadese più famoso del mondo, e non si tratta né di Trombino né di Pompadour, e il transgenderismo, ovviamente fino all’uscita di Avengers 2 dove tutto tornerà alla normalità, mica so fessi!
Dark Horse il seguito in forma di fumetto di Fight Club, scritto direttamente da Chuck Palahniuk che, dietro puerili scuse per giustificarne la creazione, ha dimenticato di aggiungere che il suo conto in banca si stava assottigliando e un bel seguito del suo libro più famoso lo avrebbe sicuramente rimpinguato.
Image si conferma l’editore più dinamico del momento con decine di nuove serie e miniserie tutte di grandi autori come Lemire, Nguyen, Aaron, Busiek, Ellis e tanti altri;  come ha detto Jeff Lemire annunciando il suo nuovo lavoro “Descender”, interamente dipinto da Dustin Nguyen, “IMAGE attualmente è il posto dove essere per i creatori di fumetti”. Proprio come la Vertigo di una volta.
Ovviamente anche tutti gli altri hanno annunciato novità ma credo che, al momento della pubblicazione di questo pezzo, già tutti i siti ve li avranno fatti odiare per sovrabbondanza di news.
Ma andiamo adesso a vedere chi ha vinto gli Eisner quest’anno che non si sono discostati di molto da quelli dell’anno scorso.
SAGA si riconferma per il secondo anno consecutivo portando a casa i premi per a Vaughn come autore, a Fiona Staples per i disegni e ovviamente quello per miglior serie regolare. 
Due se li aggiudicano i Fratelli Hernandez per la nuova serie di Love & Rockets. Hawkeye, che già aveva ben figurato l’anno scorso, si aggiudica quelli per miglio r albo singolo (Hawkeye #11) e per miglior copertinista a David Aja. Il miglior antologico è di nuovo Dark Horse Presenta, mentre il 
disegnatore/inchiostratore è il lanciatissimo Sean Murphy. 
Come al solito, al momento di nominare i nuovi ingressi nella Will Eisner Hall of Fame,   
 lo stesso Will Eisner si è manifestato in sala vestito quest’anno da Dick Tracy.   Il creatore di Spirit era accompagnato nuovamente da Jack Kirby, il quale sfoggiava ancora il vestito da Lothar di Mandrake dello scorso anno, proprio quello che aveva traumatizzato Stan Lee fino a fargli cancellare la partecipazione a questa edizione. A fargli compagnia Eisner aveva invitato anche Jean Giraud/Moebius vestito ovviamente da Maggiore Grubert che, accortosi della presenza in sala di Mark Millar lo ha costretto ad ingerire copie di Starlight, il suo nuovo “omplaggio”, neologismo creato sul momento dal genio francese per definire la carriera dello scrittore di Kick Ass.
Eisner si è compiaciuto del premio ad Hayao Miyazaki e ha personalmente consegnato il premio al mitico Dennis O’Neill  che ha ringraziato chiedendo ad Eisner di portare i suoi rispetti a Bill Finger appena tornava di là. Quello per Alan Moore è stato ritirato dallo stesso Eisner che lo avrebbe consegnato di persona a Moore, dal quale erano attesi per il solito thè delle cinque post Comicon. 
Sulla via dell’uscita il Maestro si è fermato a fare i complimenti a Darwyn Cooke per il quinto Eisner consecutivo per Parker e dopo essersi accorto della presenza di Frank Miller lo ha segnalato al Re che, avvicinatosi al creatore di Sin City, lo ha apostrofato con “che bel cappotto!” e lo ha riempito di mazzate come non si vedeva dai tempi WrestleMania 3. 
Poi, indossando il suo nuovo indumento, il Re ha urlato verso i dirigenti DC “ve lo meritate Affleck come Batman!” e ha raggiunto Moebius, proprio mentre questi estraeva dall’elmetto una matita, disegnando nell’aria un portale iridescente che i tre hanno attraversato in direzione Northampton.



domenica 6 luglio 2014

Darling Nicky



Bentornati collezionisti, amanti del fumetto o nerd inconsapevoli. Nel caso apparteniate all’ultima categoria  sappiatelo, siete NERD. Ora prendete la via dell’uscita, scendete in strada, toccate le belle ragazze e appropriatevi delle cose degli altri. È d’uopo!
Oggi parliamo di due misteri che forse vi risulteranno totalmente scollegati ma che in realtà sono due facce della stessa medaglia.
 Il primo mistero: grazie ad uno zio che potremmo tranquillamente definire un Maestro del Cinema, un certo Francis Ford Coppola, e una zia di nome Talia Shire ma nota in tutto il mondo col nome di “Adrianaaaaaaa”, un giovane italo-americano di belle speranze e mediocre attore appassionato di fumetti di supereroi dal nome Nicolas Kim Coppola, riesce a farsi strada a Hollywood e a costruirsi una carriera che qualcuno definirebbe invidiabile. 
Reinventatosi un nome mutuandolo in parte da uno dei suoi personaggi dei fumetti preferiti, Luke Cage the Hero 4 Hire, assume il nome di Nicholas Cage. Una serie di fortunosi eventi, e una parentela degna nota, lo mettono sulla stessa strada di alcuni grandi registi come David Lynch, Joel e Ethan Coen e altri e lo porteranno, non senza qualche interpretazione degna di nota, a conquistare l’Oscar per l’interpretazione di un ubriacone suicida in Via da Las Vegas. Per il resto parecchie interpretazioni di dubbia qualità riescono comunque a garantirgli una stabilità economica che gli consente di coltivare la sua vecchia passione per i supereroi e a costruire una incredibile collezione di fumetti che comprende le prime apparizioni di quasi tutti gli eroi più famosi d’America. A questo punto entra in scena il protagonista del secondo mistero: Action Comics #1
Da molti considerato il Santo Graal del fumetto americano, questo albo spillato di poche pagine contiene la prima apparizione di Superman ed è quindi unanimemente riconosciuto come l’inizio del genere supereroistico. Una delle migliori copie in circolazione fa parte proprio della collezione Cage che lo custodisce in un caveau insieme a centinaia di altri fumetti, tutti dal valore indiscutibile.
Una mattina di febbraio del 2000 il dipartimento di polizia di Los Angeles riceve una telefonata dalla villa di Cage; c’è stato un furto e il proprietario di casa sta dando di matto. I detective vengono accolti dalla servitù e introdotti in un salone che agli scafati poliziotti californiani sembra più la sala giochi di un ragazzino, ovunque vi sono giocattoli d’epoca, vecchi flipper, memorabilia varie e perfino i resti di un dinosauro e una splendida Jaguar D-Type del ’54, un bolide d’annata che i detective sospettano sia riuscita ad entrare nel salone solo smontandola, il che ne abbasserebbe il valore, oppure l’intero salone gli è stato costruito intorno. Da una stanza che affaccia sul salotto le urla di Nicholas Cage, al telefono coi suoi avvocati, arrivano prepotenti. Gli investigatori vengono così introdotti alla scena del crimine, in una stanza debolmente illuminata, addobbata come un museo; tutto intorno a loro delle vetrine antiproiettili custodiscono alcuni dei fumetti più famosi di sempre, sia Marvel che DC. Tra le teche ve ne sono tre aperte e svuotate del contenuto, dopo un’attenta analisi gli albi scomparsi risultano essere tre: Action Comics #1, Detective Comics #1 e Detective Comics #27, quello con la prima apparizione di Batman.
Dopo aver interrogato il personale e lo stesso Cage, i poliziotti di L.A. deducono che la collezione Cage, aldilà dell’enorme valore economico, non è tenuta poi con tante attenzioni; sì la stanza è blindata e le teche sono antiproiettili, gli albi sono tutti imbustati o sotto vuoto ma la porta di questa stanza è sempre aperta e lo stesso Cage si diverte, come ogni collezionista vanitoso, a spostare gli albi esposti in continuazione facendoli ruotare nelle teche a seconda dell’umore del momento. Inoltre la casa è sempre frequentata da persone, siamo infatti nel periodo di maggior successo di Cage che da continue feste per centinaia di ospiti, ben prima che il suo nome su un manifesto cinematografico diventasse garanzia di gran cagata come oggi.
Ovviamente la casa è stata frequentata anche da decine e decine di camerieri, cuochi e addetti vari alla gestione di una serie di feste hollywoodiane, insomma può essere stato chiunque ma quello che colpisce soprattutto i detective è lo stato d’animo di Nicholas Cage in merito alla vicenda, un uomo devastato. L’attaccamento di Cage per il fumetto appare agli investigatori quasi morboso, urla, piange e se la prende con tutti. In quel periodo il suo nome è tra i papabili per interpretare l’Uomo d’Acciaio al cinema diretto da Tim Burton, proprio lui che interpreta il suo personaggio preferito, proprio lui che ha addirittura chiamato suo figlio Kal El Cage, anzi Kal El Coppola. Ma il fumetto è perduto, il sistema moderno di gradazione dei comics ancora non esisteva e la lista dei sospetti è infinita e comprende centinaia di persone, stelle di Hollywood comprese. Cage si rassegna all’evidenza e si fa liquidare dall’assicurazione ma con una clausola, che se il fumetto dovesse essere ritrovato se vorrà potrà ricomprarlo alla stessa cifra con cui è stato liquidato, ovvero poco meno di un milione di dollari. La clausola è stata suggerita all’attore proprio dalla polizia di Los Angeles poiché secondo la loro esperienza chi ruba un oggetto di enorme valore come quello prima o poi deciderà di venderlo e verrà fuori, potrebbero volerci anche trent’anni e a quel punto se l’albo fosse in buone condizioni l’attore potrebbe rientrarne in possesso con il prezzo bloccato al momento della liquidazione da parte della compagnia assicurativa.
Alla fine ci vorrà molto meno di trent’anni, solo undici. Tutti i grandi venditori e case d’asta del settore sono state allertate e una mattina di primavera del 2011 una casa d’aste di Los Angeles riceve la richiesta di mettere in vendita una copia di Action Comics #1 gradata 9, praticamente la migliore del mondo, con una base d’asta di un milione. Il venditore è un certo Silvestre Lozano, un tizio che si guadagna da vivere comprando alle aste giudiziarie quei depositi pieni di cianfrusaglie sperando nel colpo di fortuna, una usanza tipicamente americana che ha poi generato alcuni di quei programmi televisivi basati sul niente.
L’ultimo Action Comics #1 venduto era quello di un tizio che lo aveva trovato facendo dei lavori alla sua nuova casa in Minnesota nell’intercapedine di un muro, avvolto in un giornale. Il tizio, un messicano di nome David Gonzales, litigando con la moglie sulla cifra da richiedere in caso di vendita ruppe la quarta di copertina e due pagine interne, compromettendo l’albo e svalutandolo fino a “soli” 200.000 dollari, una valutazione per l’albo integro lo avrebbe valutato 8.5 quindi sopra il milione di dollari.
Appena la casa d’aste ebbe ricevuto l’albo contattò la polizia di L.A. che si presentò al momento della transazione sequestrando l’albo in quanto oggetto rubato e arrestando Lozano che faticherà non poco a provare di essere solo una vittima a sua volta, uno che pensava di aver svoltato per la vita.
L’albo torna così alla compagnia di assicurazione che contatta come da contratto Nicholas Cage, le fortune dell’attore sono in ribasso quasi che il furto del suo Action Comics l’avesse privato del superpotere di sembrare un attore vero. Il premio Oscar è ormai un ricordo lontano ed il suo nome si è legato sempre più a action movie dalla scarsa qualità, il film di Superman di Tim Burton non andrà mai oltre la pre-produzione e le altre apparizioni nei cine-comics di tendenza sono di discutibilissima qualità, tipo Ghost Rider per intenderci. Cage ricompra l’albo per la stessa cifra con cui era stato liquidato ma ha da anni venduto la sua collezione di fumetti, forse disamorato dalla sparizione del suo Santo Graal fumettistico. Pochi mesi dopo il ritrovamento lo metterà all’asta a sua volta, ricavandoci 2.161.000 dollari, la cifra più alta mai pagata per un fumetto.


giovedì 26 giugno 2014

BWS



Bentornati amanti degli animali. Come dice sempre Piero Angela in questi casi “Guardate che avete sbagliato rivista, a meno che non si parli di Rob Liefeld!”.
Scusatemi, è stato più forte di me. Ma ora veniamo a noi, cari scaricatori inveterati di fumetti americani, oggi inauguriamo una rubrica che come le altre che si sono succedute su queste pagine avrà la cadenza ACDC, che in questo caso non sta ad indicare il miglior esempio d’Arte proveniente dall’Australia ma semplicemente l’organo riproduttivo dell’arcinoto migliore amico dell’Uomo. La suddetta rubrica, che potrete chiamare “chi l’ha visto?” oppure “che fine ha fatto Carmen San Diego?”, cerca semplicemente di rispondere alla domanda che ogni lettore di fumetti si è posto prima o poi: “Ma che c..zo di fine ha fatto quel Tal disegnatore che mi piaceva tanto?”
Sono tanti i desaparecidos del fumetto, scomparsi e fugacemente ricomparsi e poi spariti di nuovo. Qualche esempio? Ve lo ricordate Aaron Weisenfield? Alcuni anni fa disegnò una fantastica e osannatissima miniserie che univa Deathblow, il mercenario creato da Jim Lee per scopiazzare Sin City, e Wolverine. Due numeri nei quali spiccava il talento di questo disegnatore per il quale tutti prevedevano un radioso futuro, uno storytelling quasi perfetto, un dinamismo quasi orientale ed una cura maniacale per il disegno che riecheggiava omaggi al Miller di Ronin, a Geoff Darrow e qualche strizzata d’occhio a Moebius. E poi? Sparito. Decide che di fumetti ne ha abbastanza e si dedica a quadri e opere scultorie abbandonando definitivamente l’arte sequenziale e tornandovi solo fugacemente come copertinista per la Vertigo ma con uno stile radicalmente cambiato e solo per pochi numeri. Oppure possiamo parlare di Dale Keown, che all’apice del successo, dopo una famosissima run di Hulk e una serie creator owned per Image molla tutto per lanciare un gruppo punk rock con i suoi amici? Oppure il caso più emblematico, David Mazzucchelli che dopo aver prodotto su testi di Frank Miller due delle storie più belle e memorabili degli anni ottanta, “Devil: Born Again” e “Batman Anno Uno”, e di fronte a proposte di ogni genere da parte delle major, decide che ne ha abbastanza di supereroi e molla tutto dedicandosi a saltuari fumetti intimisti su riviste underground, storie di giganti buoni e incompresi, di America rurale e architetti insoddisfatti che gli sono valsi premi e riconoscimenti in tutto il mondo.
Uno di questi autori scomparsi è Barry Windsor Smith, illustratore inglese il cui talento sbocciò in alcune memorabili storie di Conan all’inizio degli anni ’70 e che negli anni ha prestato il suo tratto ad alcune meravigliose storie come VitaMorte 1 e 2 su X-Men, oppure Weapon X, primo approfondimento sulle origini segrete di Wolverine, quando questo aspetto era parte integrante del fascino del personaggio.
Smith ha legato il suo nome anche ai primi tentativi di creare universi supereroistici alternativi al duopolio Marvel/DC partecipando prima all’avventura della Valiant di Jim Shooter con Solar: Man of the Atom e il divertentissimo Archer & Armstrong e poi con la Malibu con Rune. Successivamente lancia il suo antologico personale BWS Storyteller alla Dark Horse che chiude però dopo 9 numeri e lasciando le serie in sospeso fino ad alcune successive ristampe Fantagraphics che proporranno le storie complete.
Dopo di ciò solo qualche sporadica apparizione, una storiellina breve qui, una copertina là fino al 2002 poi più nulla; nel 2006 annuncia sul suo sito di stare lavorando ad una graphic novel dedicata alla Cosa dei Fantastici 4 che nessuno ha più sentito nominare. E allora, che fine ha fatto?
Quello che molti non sanno è che Smith è un noto riciclatore di storie, non che copia le idee degli altri badate bene, ma solo che se un suo progetto per un qualche motivo non è stato accettato allora lui lo ha riadattato e usato per i propri scopi. Vi faccio qualche esempio, dopo il successo di VitaMorte 1 e 2, Smith propone alla Marvel il terzo capitolo ma l’editore gentilmente rifiuta, si viaggiava già verso le inutili scazzottate di oggi e l’intimismo di quelle storie non era più gradito. Smith non si perde d’animo e riadatta la storia in quello che sarebbe diventato Adastra in Africa. Succede anche con Freebooters, una delle serie di Storyteller che richiamava decisamente le atmosfere di Archer & Armstrong, anche se in alcune interviste Smith ha dichiarato che l’idea di Freebooters era precedente e trovandosi a lavorare sulla serie Valiant usò alcune di quelle idee su quelle pagine.
Secondo le ultime notizie apparse sul sito di Barry Windsor Smith pare che il disegnatore stia lavorando ad una graphic novel intitolata “Monsters!” che, partita come progetto secondario alla Cosa avrebbe preso il sopravvento toccando ormai le 300 pagine e potrebbe vedere la pubblicazione quest’anno o forse il prossimo. Tutto partirebbe da un’idea che Smith ebbe per rilanciare Hulk e che sottopose alla Marvel all’inizio degli anni ’80 ma l’editore la giudicò troppo audace per il personaggio che in quel momento era sui teleschermi di mezza America. Di cosa si trattava? Smith propose alla Marvel di inserire l’elemento che Bruce Banner fosse stato un bambino maltrattato dai genitori e in special modo dal padre, un reduce di guerra ossessionato e geloso e forse vittima a sua volta di esperimenti genetici durante la Seconda Guerra Mondiale. Tutta la storia si sarebbe svolta durante l’infanzia di Banner che per l’intera durata della serie sarebbe comunque stato raffigurato come Hulk.
Non male eh? Ma come vi dicevo, bocciata. Anni dopo Peter David avrà alcune delle stesse idee e a quel punto i tempi sarebbero stati maturi per reinventare le origini del personaggio.
Smith ha ripreso invece il suo concept, lo ha ripulito degli aspetti Marvel e ha reso tutta la storia più adulta, e da quella bozza pare stia nascendo uno dei suoi lavori più belli e sentiti, alcune anteprime apparse online sembrano meravigliose e mostrano la maniacalità con cui Smith si è dedicato al progetto negli ultimi 10 anni. Insomma Barry Windsor Smith sta per tornare, a chi toccherà la prossima volta?
Un altro caso risolto per l’agenzia Pinkerton.

giovedì 24 aprile 2014

Dave McKean - Napoli Comicon 2014



(estratto dal catalogo del Napoli Comicon 2014)
- il seguente articolo viene pubblicato nella sua forma originale, prima di eventuali revisioni in fase d'impaginazione -


Quando nel 1998, alla prima edizione del Napoli Comicon, la persona che vi sta scrivendo, poco più che ventenne, ebbe il privilegio di sedersi a tavola con l’ospite d’onore Lorenzo Mattotti, che per primo decise di accordare la sua fiducia a quella banda di sognatori che aveva deciso di riportare i grandi del Fumetto a Napoli, gli chiese se nonostante fosse ormai da anni un affermato illustratore ancora gli piacesse guardarsi intorno a vedere i lavori degli altri artisti o se ne avesse di preferiti. 
Mattotti, con la sincerità che solo un’ottima scelta di bottiglie di Aglianico sanno dare, dichiarò che non vedeva moltissimi talenti usciti nei dieci anni precedenti ma che se ne avesse dovuto nominare uno che ad ogni nuova opera o illustrazione lo intrigasse, sorprendesse e talvolta addirittura invidiasse per lo spiccato talento artistico, beh allora quello era Dave McKean.
Per la generazione di cui faccio parte il nome di Dave McKean è ovviamente legato principalmente alle bellissime copertine create per “Sandman”, il capolavoro di Neil Gaiman edito dalla DC-Vertigo, mentre le nuove generazione lo assoceranno forse alle splendide e lisergiche illustrazioni di “Batman: Arkhan Asylum”, la graphic novel dedicata ai pazzi che affollano il manicomio di Gotham City scritta da Grant Morrison nel 1989 e che ha ispirato uno dei videogame di maggior successo degli ultimi anni. 
Ma oltre a questi due notissimi lavori la carriera di Dave McKean è sempre stata votata alla sperimentazione artistica.
Fin dagli esordi l’artista inglese ha prestato il suo talento a storie intimiste scritte dal creatore di Sandman, Neil Gaiman, capolavori ormai riconosciuti come Casi Violenti, che racconta, attraverso i ricordi di bambino del protagonista, del suo incontro con un ex “picciotto” di Al Capone. Oppure “La tragica commedia o comica tragedia di Mr.Punch” che riprendendo i personaggi della cultura popolare di Punch e Judy, ancora una volta affronta storie che hanno a che fare con adulti le cui fallaci memorie di bambino li pongono al centro di vicende talvolta più grandi di loro.
In “Casi Violenti”, il suo primo lavoro professionale, il tratto di Dave McKean comincia a sbocciare in quello che sarà il suo marchio di fabbrica, ovvero un’ardita sperimentazione nell’illustrazione. La graphic novel fungerà da trampolino di lancio per le carriere di entrambi gli autori che si ritroveranno catapultati nel fumetto mainstream americano come due tra i più promettenti autori della new wave britannica che sta rivoluzionando il fumetto a stelle e strisce di quegli anni. 
È l’occhio lungimirante di Karen Berger della DC comics ad accorgersi per prima dell’enorme talento dei due e gli commissiona la miniserie “Black Orchid” che recupera un vecchio personaggio semidimenticato dell’universo narrativo di Batman. Questo trend di recuperare personaggi quasi sconosciuti al pubblico americano esploderà poi con Sandman e la nascente divisione adulta dell’editore, la Vertigo. Per l’opera più famosa di Gaiman, Dave McKean disegna le copertine per tutti gli albi e le raccolte in volume, impreziosendo anche le successive ristampe con copertine sempre nuove e sperimentali. 
Se le cover dei primi albi presentano collage, fotografie e costruzioni fisiche per catturare l’attenzione del lettore, sarà la scoperta di Photoshop a rivoluzionare il suo lavoro, per usare le parole dello stesso McKean “grazie a Photoshop i miei lavori cominciarono a somigliare sempre più a quello che avevo in mente”. Il sodalizio tra i due autori continuerà negli anni con “Signal to Noise”, la storia di un regista cinematografico malato terminale e del suo tentativo di creare un ultimo lungometraggio  ben sapendo che non farà in tempo a dirigerlo e illustrazioni per libri per bambini come “I Lupi nei Muri”, “Il Giorno che scambiai mio padre per due pesci rossi” e “Coraline”, un racconto per ragazzi premiato con i premi Hugo e Nebula e successivamente trasposto al cinema da Henry Selick, già regista di Nightmare Before Christmas.
Oltre alla storica collaborazione con Gaiman, Dave McKean esordisce anche come autore completo con “Cages”, un racconto semiautobiografico che tratta di arte, gatti e la percezione della realtà, il tutto con uno stile completamente diverso dalle elaborate illustrazioni per “Sandman” e ispirato nel disegno a Josè Munoz e Lorenzo Mattotti. La graphic novel, iniziata nel 1989 verrà portata a termine solo nel 1997 e consterà alla fine di 500 pagine; con questa opera McKean dimostra di non essere solo l’ardito sperimentatore dell’illustrazione ormai noto a tutti ma di saper anche adattare il suo stile ad un tratto più delicato e minimale adatto alla storia del volume che si aggiudicherà il premio Harvey come miglior fumetto nel 1992.
Successivamente a questa monumentale opera il nome di Dave McKean comincia a circolare anche al di fuori dei circuiti fumettistici e l’autore può così dedicarsi a booklet e illustrazioni per CD, come quelle per Voodoo Lounge dei Rolling Stones ma anche moltissime altre per Tori Amos, Alice Cooper, John Cale, Michael Nyman e molti altri.  Anche la grande editoria comincia ad accorgersi di lui e l’artista produrrà decine di copertine di libri per Stephen King, Iain Sinclair, Jonathan Carroll e altri. In questo periodo entra anche nella squadra dei copertinisti del New Yorker che già conta tra le proprie fila artisti del calibro di Art Spiegelman e Lorenzo Mattotti.
Forse appagato fumettisticamente da Cages, McKean comincerà a dedicarsi sempre più all’illustrazione digitale, alla pittura e alle installazioni artistiche; a lui vengono dedicate rassegne e mostre sulla sua carriera in tutto il mondo e lo stesso McKean inizia a spaziare nel campo delle scenografie teatrali  e cinematografiche e impreziosendo numerosi festival con manifesti creati per l’occasione.
Ma il fumetto resta comunque il primo amore e periodicamente McKean è tornato a cimentarvisi con storie brevi poi raccolte nelle due antologie “Picture that Thick voll.1 e 2” e con il racconto erotico “Celluloid”.
Tra i suoi progetti più recenti ricordiamo la serie di “Postcards From…”, una raccolta di illustrazioni di piccolo formato dedicati alle varie città nelle quali McKean è stato ospite e nelle quali l’illustratore restituisce sensazioni e visioni di città come Bilbao, Vienna, Barcellona, Parigi, Bruxelles.
Dave McKean è anche un pianista jazz molto dotato; una passione, il jazz, che lo porterà a fondare la sua casa discografica, Feral Records, insieme all’amico sassofonista Iain Ballamy.

Dave au Cinema
Una visionarietà esuberante come quella di Dave McKean non poteva restare confinata alle pagine disegnate. Fin dalla metà degli anni novanta l’artista ha collaborato o diretto piccoli cortometraggi, videoclip musicali e sigle per la televisione.
Del 1996 è l’intro del serial Neverwhere, la miniserie televisiva tratta dal racconto di Neil Gaiman per la quale McKean produce anche concept design e storyboard. I primi cortometraggi risalgono al ’98 con “The Week Before” che racconta la settimana precedente alla creazione dell’universo, successivamente nel 2002 esce N[eon], questi e altri lavori verranno poi raccolti nel dvd “Keanoshow”.
Alla metà degli anni duemila partecipa come concept artist a due dei migliori film della saga del maghetto più famoso di tutti i tempi, ovvero “Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban” e “Harry Potter e il Calice di Fuoco”, per i quali crea graficamente l’aspetto dei Dissennatori, i guardiani del carcere di Azkaban. A detta dello stesso McKean però non sarà un’esperienza memorabile, proprio per la mancanza di stimolazione artistica e di coordinazione tra i vari artisti coinvolti nel progetto e di feedback con la produzione.
Passare al lungometraggio sembra a questo punto un passaggio obbligato e Dave McKean esordisce alla regia nel 2005 con “MirrorMask”, prodotto dal Jim Henson’s Studio e scritto con l’amico Neil Gaiman, riproponendo il sodalizio col creatore di Sandman, forse il più importante della sua carriera. Nel 2011 dirige l’adattamento della Passione di Cristo del National Theater del Galles con protagonista Michael Sheen, già visto in  “The Queen” e “Frost/Nixon”.
Il suo nuovo film, “Luna” è attualmente in fase di post-produzione.